Mario Menziani - anno scolastico 2004-2005
Mario Menziani - 08-06-2005
Dotato di una adiposa gibbosità "fotocopiacea" (destinata ad accrescersi a dismisura nel tempo), attorniato dal pulviscolo tutoriale, addestrato fin da piccolo a saltare d'anticipo, procede a balzi, ondivago, nel campus.
Quando la sua figura si staglia all'orizzonte, il suo pecup può destare inquietudine e senso di smarrimento.
Sarà cura di Osvaldo fornirgli indirizzi, passerelle, orientamenti, ma sempre tenendosi a debita distanza, senza dimenticare, tuttavia, un'osservazione periodica e regolare.
(A questo punto vediamo che Osvaldo, con aria meditabonda e al tempo stesso possibilita, si infila un dito nel naso: "Valsi? Invalsi? Ai posteri l'ardua sentenza").
E' finito l'anno scolastico e Osvaldo s'è trovato con questo nuovo animale strampalato nella sua isola di Stranalandia.
Naturalmente non è frutto della fantasia di Benni questa nuova creatura, ed infatti non è altrettanto divertente: volete metterla con la soave leggerezza del maiale volante o con la straordinaria veridicità del gorilla "Vaichesei"?
Per questo, se proprio vogliamo ridurla ad un'isola di Stranalandia, affidiamola all'ottimo Stefano Benni, questa nostra povera scuola. Almeno ci faremo quattro sane risate e non più questo sangue amaro a vederla così maltrattata, così impoverita, così inesorabilmente abbandonata.
Mario Menziani - 27-04-2005
Per risolvere un problema bisogna avere chiaro che cosa si vuole sapere e lasciare da parte tutte le informazioni che non c'entrano: è una selezione fondamentale, la prima cosa da fare per risolvere i problemi. Sta alla base del pensiero scientifico, mi hanno spiegato (credo che in un qualche modo c'entri Galilei).
Così dicasi per gli spaghetti. Se lei sa che gli spaghetti cuociono in 12 minuti, l'informazione che trova sul pacco, che cioè dentro non ce ne sono 500 grammi, lei la deve lasciar perdere perché a lei basta quella che riguarda la cottura, non il peso: gli spaghetti non sono come l'arrosto, quello sì che si cuoce in rapporto al peso. Ma gli spaghetti sono tutti uguali, sia che ne cuocia 500 grammi, sia che ne cuocia 250 grammi. Così il problema che lei ci ha sottoposto (in una scatola di spaghetti c'è scritto: "Spaghetti- 500 grammi- cottura 12 minuti", in quanto tempo cuociono 250 gr di spaghetti?) in realtà non è affatto un problema.
Mario Menziani - 14-04-2005
La donna protende le mani e mormora parole indistinte. Si percepisce soltanto un lamentoso gorgoglìo. L'azione è insistita ed enfatica: tutta la fisionomia della donna ne risente e la sua vecchiaia ne è esasperata.
L'osservatore avverte il timore di un possibile coinvolgimento. Poi i suoni sciolgono la loro iniziale inestricabilità, ora si possono distinguere fonemi, sillabe, parole: "Arrampicati, arrampicati!", è l'esortazione della vecchia.
Dalla sua sedia a rotelle si rivolge all'ombra che l'accompagna. Parla a quel suo costrutto mentale che sta a mezzo tra un lunghissimo passato ed un interminabile presente. Ce l'ha davanti a sé, quell'ombra, e le assegna un compito chiaro e puntuale; l'esorta all'esecuzione: straordinaria prospettiva di un futuro ancora possibile.
Nella stanza la primavera entra prepotentemente con la luce abbagliante e netta di un lunedì di Pasqua in città, con i canti di uccelli straordinariamente liberi dal bavaglio del traffico automobilistico, con l'odore di aria, di fresco e di pulito. Il sole esalta le rade chiome fiorite di rosa e giallo laggiù, oltre i quattro piani del caseggiato, tra i filari del viale, in gran parte ancora spogli e grigi. Un televisore è acceso, nella stanza. Sta andando in onda una trasmissione per bambini: insegnano a fare costruzioni con la carta e raccontano fiabe.
Due vecchi siedono accanto alla donna, ben ancorati alle loro sedie a rotelle, per non scivolare. Non sembrano infastiditi dalla sua follia, così come non sembrano stupiti di questo irrompere della primavera, né tantomeno dalle fiabe televisive. Accettano tutto quell'accadere con naturalezza. Uno dei due ha la sua brava berretta in testa e dice soltanto alla donna: "Ma dai", o qualcosa così. Lo ripete, sereno, con tranquillità.
Dal televisore provengono suoni, ininterrotti, mentre larghe chiazze di luce si riflettono sullo schermo impallidendo le immagini fino quasi a cancellarle. Nessuno se ne cura. La sua presenza è un sottofondo monotono, compatto e omogeneo: un monolite sonoro che occupa una parte sola del cervello, e che presto si riuscirà a dimenticare. O, almeno così, si auspica l'osservatore. Lo ritroverà, in realtà, più tardi sottoforma di leggera emicrania, di fastidioso e mieloso ottundimento.
L'osservatore partecipa al quadro generale come semplice comparsa, seduto ad un tavolo della stanza, in compagnia di altre due donne. Svolge la funzione di accompagnatore di una di queste, venuta in visita all'amica ricoverata. Arbitrariamente, forse per darsi un tono ed occupare al meglio il tempo, si assume l'incarico di rendere fluido il loro discorrere.
La loro età permetterebbe interminabili conversazioni attorno a grovigli di ricordi, con quel tipico salmodiare nomi e gesta di parenti, di comuni amici e di conoscenti, ricordandone le relazioni e le realizzazioni, consacrando così, a modo loro, con quel ricordare, l'essere sociale di tutta quella moltitudine. Senonchè, sempre l'età, fa sì che ripetutamente ora l'una ora l'altra, non ricordino di aver già posto quel quesito o fornito quella risposta, pertanto la conversazione si incaglia e le parole si ripetono, stolidamente vuote. Ecco allora che, con un piccolo tocco, l'osservatore cerca di suggerire un nuovo argomento, di inserire una piccola novità, che permetta loro di saltare quell'intoppo della memoria a breve termine, per rientrare nel solco sicuro e chiaro, così vivo e presente, di quella a lungo termine.
E' straordinario come questa facoltà si acuisca nell'anziano, dando origine a inaspettate e inimmaginabili realtà. La città si flette al potere di questa memoria, assume connotati affatto nuovi e si stenta a riconoscerla, così compressa nel tempo, così rarefatta nello spazio. L'accadere è il susseguirsi delle parole, i luoghi sono il pallido sovrapporsi di immagini mentali. La città diventa puro racconto, assume la leggerezza della fiaba, quasi a compensare il suo essere divenuto ormai, dal punto di vista fisico, pura fatica.
E' il racconto il luogo dell'incontro tra diversi: tra generazioni diverse, tra popoli diversi. E' il racconto corale che, superata l'innata diffidenza tra singoli, diventa costrutto omogeneo e compatto, esperienza di vita realissima, cemento di rapporti solidali. E, al suo massimo, architettura viva della città.

Mario Menziani - 03-03-2005
Tre brevi annotazioni:

Il quindicenne italico, secondo le indagini dell’ Ocse Pisa, è un gran somaro: lo era l’anno scorso in lettura, lo è quest’anno in matematica applicata. E’ talmente preoccupante la situazione che, da parte del ministero, si ...
Mario Menziani - 11-02-2005
Notizie dalla neoscuola

I riflettori della ribalta illuminano a giorno l’ultimo segmento del sistema scolastico toccato dalla riforma: ci appare essenziale, magro e asciutto come si addice ai tempi, i tempi della neoscuola.
Raggiunto dalla ...
Mario Menziani - 19-01-2005
Tutt’attorno cadevano gragnuole di osa che ci inchiodavano nelle trincee. Difese improvvisate, troppo fragili che, ben presto, si rivelarono del tutto inutili.
Frastornati dal clamore delle uda, disorientati dalle validazioni estemporaneee di ...
Mario Menziani - 03-01-2005
I giovani, gli immigrati e il Mezzogiorno sono le nostre grandi risorse per il futuro. Sono le risorse più preziose sulle quali investire. Nel quadro dell’Europa e con l’aiuto dell’Europa. Che fare allora? Scuola, scuola, e, poi, ancora scuola. E’ da qui che si parte. Scuola che trasmetta con equità il sapere e, soprattutto, la capacità di apprendere. Scuola, con tutti i progetti Erasmus possibili, per mettere i nostri ragazzi in contatto e su un piano di parità con i loro coetanei negli altri paesi. Scuola e università che sappiano riconoscere il merito e promuovere l’eccellenza.” R. Prodi, Milano 11 dicembre’ 04

Poche ore all’anno nuovo. E allora facciamo così: facciamo finta che ci siano solo due o tre cose da sistemare prima di partire con questo nuovo anno. Solo due o tre cose, e piccole per giunta.
In realtà lo sappiamo bene che queste due o tre cose le dobbiamo estrarre da una vera e propria montagna. Ma di vedere l’intera montagna, a questo punto, proprio non ci va, preferiamo vedere solo due o tre cose, possibilmente piccole.

Ecco, facciamo così. In modo da surrogare, con questo piccolo stratagemma, la necessità di sistemare ogni cosa prima di chiudere l’anno vecchio, mettendo tutto in ordine per ripartire con le idee più chiare. Ne abbiamo bisogno, sia per non essere sommersi dal caos che ci attornia, sia per costruirci delle piccole tappe, avere un’idea di quanto è stato fatto, fare mente locale su quanto resta da fare. E’ un modo che chiamiamo “razionale”, ma in realtà lo è perché ci aiuta, ci aiuta a tirare avanti. Ci aiuta a darci ritmi, ad accettare sconfitte, a dare la giusta dimensione a vittorie e sconfite, a non farsi prendere la mano da stati umorali, a razionalizzare. A trovare la nostra strada, da bravi occidentali.

La prima cosa da sistemare è confermare l’opposizione alla neoscuola. La seconda è considerare che per continuare ad opporci c’è bisogno di un progetto. La terza è considerare che se si vuole parlare di scuola, allora si deve parlare di mondo.
Del mondo, oggi.
No, non vogliamo rinunciare a parlare del mondo, oggi più che mai.

Brandelli di comunicazioni dal mondo. Dal Burkina Faso: “Già fatto l’albero? Ci credi se ti dico che ne vendono anche qua, di plastica e già addobbati? Che immagine surreale, un africano scalzo nella nebbia di polvere rossa e due alberi di natale in mano” .
Dal Bangladesh: “Comunque non preoccupatevi troppo. Domani vado in campagna dove la gente non sa niente, continua a vivere normalmente. Un pregiudizio che abbiamo è che questa gente viva in un perpetuo stato di terrore. La mancanza di notizie non è sentita come una paranoia. Probabilmente siete più spaventati voi di loro”.
Che cosa c’entrino due piccoli brandelli di tal fatta con la scuola lo lasciamo spiegare alle belle pagine che Raffaele Iosa pubblica su Scuola Oggi (“Buon Natale da ariosa berosa” 29.12.04): “C’è bisogno di pensare altro e alto, di tornare alla politica non solo della scuola, ma dell’educazione complessiva, di ripensare al patto tra società adulta e società dei bambini e giovani che in questo ventennio si è per me frantumato in un mare di adultismi, spot, pedagogismi narcisi. Alla paura di futuro che domina l’attuale presente adulto (quasi terrore) proporre un pensiero “borghigiano” (grazie, De Rita) che ci aiuti a riprendere la nostra città della vita come polis e agorà quasi perdute. Nei non luoghi del presente progettare nuove piazze, nuove aule, nuovi sguardi. Si può se si va oltre il rincorrersi di un decennale traumatico quasi flop delle politiche educative, sociali e scolastiche”.
Mario Menziani - 11-12-2004
CORO: Noi siamo gli insegnanti/ faziosi e paraculi/ quasi mai presenti/ praticamente evaporati/ oh Nostra Signora Cotonata/ alla vostra grazia/ noi domandiamo/ asilo, asilo.
MARCELLO: Io sono Marcello/quando ero piccolo/ sognavo di fare il bidello/ io sono Marcello/ e sapete che vi dico?/ questa scuola/ senza testa e senza braccia/ non crediate che mi piaccia.// O stormo nauseabondo di cocorite/ di che vi lamentate? Siete voi/ che dietro all’asino vi affaticate/ che per lo straniero vi intenerite!/ Io voglio la scuola d’allora/ che fu gentile ed ora lieta. / Per il papà, la mamma ed il fratello/ per il professore e per lo scolaro/ per il dirigente e per il bidello/ come Caron sarò demonio/ traghettatore e spia!/ Oh quanta nostagia,/oh quanta nostalgia/ è tutta sudata l’anima mia!
(Marcello V. - Da grande volevo fare il bidello – ed Rai)


Fuori il buio di un pomeriggio inoltrato di dicembre, dentro la luce sbiadita dei neon che inchioda alla loro malinconica tristezza l’incolore degli intonaci e l’essenzialità degli arredi: banchi appena appena sufficienti a contenere l’esplosione vigorosa di corpi in crescita, sedie traballanti, decisamente scomode.
Intrecciamo semplici frasi, seduti uno di fronte all’altro, separati dal breve spazio di un banco di formica verde.
I colloqui con gli insegnanti, o meglio i colloqui generali, sono “cosa antica”. Fanno parte della scuola come gli arredi. Penzolano minacciosi nell’aria almeno due volte all’anno, generalmente mal sopportati dai docenti, dai genitori, dagli alunni.

Mario Menziani - 27-11-2004
Dopo aver frequentato la scuola dell’infanzia e il Primo Ciclo di istruzione, grazie anche alle sollecitazioni educative nel frattempo offerte dalla famiglia e dall’ambiente sociale, i ragazzi sono nella condizione di:(…)
avvertire interiormente, ...
Mario Menziani - 06-11-2004
Come può accadere che si possa precipitare in un abisso di tempo, perdersi nei meandri di anni luce e conficcarsi là dove l’attimo assume l’insipida dimensione dell’infinito? Come può accadere che anche solo l’ieri si snaturi e perda il suo concretissimo senso di banale insieme di accadimenti, quel quotidiano susseguirsi così sempre apparentemente uguale e stabile, ma pur sempre diverso e nuovo, che conferisce al nostro stare nel tempo un aspetto famigliare, caldo, pacato e tranquillo?

Mario Menziani - 29-10-2004
C’è una cosa innanzitutto, una cosa precisa e chiara ed è che tutto pare, o meglio, sembra che sia, ma in realtà chi lo sa come è? Ecco, ad esempio: sembra che non ci sia la scheda di valutazione. Pare che nessuno la stampi. Sembra che a qualcuno … ...
Mario Menziani - 06-10-2004
Si stava lì, malinconici in quella malinconia di stazione e nebbia.
Si attendeva il treno in un silenzio quasi irreale, senza guardarsi neppure in faccia. Nessuno aveva il coraggio di parlare. Come se un non so che di ritegno, o peggio, un senso di vergogna per quella sensazione di impotenza e di sconfitta, costituisse una barriera di incomunicabilità tra chi per quella sconfitta doveva partire e chi, pur sconfitto ma più fortunato, almeno per il momento, l’aveva scampata bella.
C’erano tutti i colleghi alla stazione, con tanto di bandierine colorate per i saluti. La mattina, piuttosto uggiosa, s’intonava alla mesta cerimonia dei saluti. Fu Tarozzi a rompere quel silenzio.

Mario Menziani - 22-09-2004
Preceduto da un rosario infinito di primi giorni di scuola, eccolo il secondo giorno. Sarà ignorato come tutti gli altri che seguiranno? E’ già un po’ logoro, comunque grigio.

La vertigine dell’attenzione del mondo ci ha sfiorato a lungo. Sui ...
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